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         Quarte di copertina   e   frammenti critici

Fango e luce

Edizioni del Faro, 2014

22,00 euro

 

«Se noi uomini, noi individui siamo un impasto di fango e luce, bè, non mi restava che sentire e descrivere il fango così come sentire e descrivere la luce. Possibilmente senza chiudere gli occhi davanti all’uno né davanti all’altra». Così scrive l’autrice nella premessa a questa sua seconda raccolta di critiche teatrali e cinematografiche, Fango e luce. Attraverso la visione dei film e degli spettacoli più interessanti di questi ultimi anni, difatti, col suo sguardo profondo e limpido ad un tempo, accompagna lo spettatore e il lettore al cuore delle storie, dei personaggi e dei tanti temi trattati. Si è avvinti da un pensiero vario e versatile che stimola ed apre a prospettive nuove ed inaspettate. Uno sguardo ed un pensiero entrambi originalissimi che si tengono coraggiosamente fuori da ogni coro. Emerge infine quasi una ricostruzione storica dell’Italia mentre non mancano approfondimenti sui più rilevanti aspetti degli Stati Uniti d’America, dei diversi paesi europei o di alcuni paesi asiatici accanto alla capacità, lucida ed appassionata, di riflettere e di far riflettere sulle questioni più pressanti che investono il nostro tempo.

 

 

«Fango e luce è un libro preziosissimo che fissa nel commento, nell’interpretazione e nel giudizio tante rappresentazioni teatrali e tanti film avvalendosi di un discorso sempre molto efficace e persuasivo».

(Giorgio Bàrberi Squarotti, critico letterario de La Stampa)

 

 

«Ho letto con vero piacere il nuovo libro della nostra instancabile collaboratrice Maria Antonietta, tanto più perché il libro è strettamente legato alla nostra rivista. Si tratta di una raccolta di articoli, per lo più recensioni cinematografiche (ma non solo), un "mosaico" (come lo definisce la stessa autrice nella premessa) di scritti sul nostro tempo, sulla nostra società vista attraverso il cinema italiano ed internazionale. […]Il lettore si troverà in un viaggio affascinante e potrà rivivere magari film che ha già visto trovando spunti nuovi».

(Massimo Acciai su Segreti di Pulcinella)

 

 

“La felicità è reale solo quando è condivisa”. Se un tale assunto può esser vero per un giovane uomo in procinto di abbandonare l’esistenza terrena, com’era appunto Cristopher McCandless sperduto tra monti di straordinaria bellezza e velenosi segreti, perché non riscoprirne la veridicità anche quando ad esser condivisa non è la mera felicità, ma qualcosa di più ampio come il turbinio di emozioni e riflessioni che una performance audiovisiva può sprigionare nel proprio spettatore?

In fondo è proprio ciò di cui parla il volume Fango e luce, un libro che inizia con l’immagine di una donna davanti a un palcoscenico, a uno schermo. Due occhi puntati su quella mise en abîme che sprigiona – nel senso di liberare da catene, lucchetti e sbarre – sogni e desideri. Questa con naso all’insù è Maria Antonietta Nardone, scrittrice, traduttrice e critico teatrale e cinematografico che, con penna lucida e sagace, ha sferzato critiche vive e obiettive, spesso dissacranti, sulla produzione teatrale e cinematografica nazionale e internazionale. […]

Una sincerità altrettanto pungente emerge quando il suo occhio vigile e scrutatore rintraccia nella performance un meticoloso e ricercato lavoro di regia oltreché d’interpretazione. Dunque, viene suggerita al lettore una raccolta intensa di recensioni che rispondono al franco intento di perseguire il vero. Tra fango e luce, tra riflettori e sipario, tra pellicole e tagli. Tra poesia e incanto.

(Daniela Lucia su ilfilorosso)

 

 

 

Namasté

Albatros – Il Filo edizioni, 2011

13,50 euro

 

Un viaggio in India e in Nepal, che porta con sé l'eco di un saluto: Namasté. Un viaggio che porta alla luce una cultura che incuriosisce e affascina trattando tanti lati sconosciuti al lettore occidentale, che può però, attraverso gli occhi dell'autrice, vivere l'esperienza fantastica di comprendere elementi cruciali di un mondo tanto distante. Terre così incantevoli, se si guardano attraverso il vetro non opacizzato del sentimento, che non prevede paura, non prevede ignoranza, possono essere percorse e scoperte nei loro aspetti più autentici. Tanti i temi toccati (religioni, caste, condizione femminile, letteratura, cinema, mitologia, storia) che danno corpo all'intensa avventura di questo viaggio; che, sapientemente, diventa anche un viaggio dell'anima che afferra, coinvolge e fa riflettere.

 

 

«Ho letto con estremo interesse e partecipazione questo mirabile libro di viaggio e di interpretazione dell’India: moltissimo ho imparato e moltissimo ho riflettuto sulla varietà contraddittoria della storia, dei costumi, dei comportamenti, delle religioni per il tramite di una lucida scrittura e dell’oggettività dei racconti e delle descrizioni».

(Giorgio Bàrberi Squarotti, critico letterario de La Stampa)

 

 

«[…] Un libro, questo, che sembra prenderci per mano, sottraendoci al turbinio movimentato della società occidentale, per cullarci col suono lento e inesorabile di note etniche, in un universo ancora colmo di quelle essenze arcaiche e forti, che ci permette di riflettere e, forse, comprendere le grandi questioni del mondo».

(Teresa Maragò su ilfilorosso)

 

 

«L’autrice racconta con grande maestria e spirito di osservazione l’India e il Nepal, mete di viaggi compiuti nell’ultimo decennio. Il quadro tracciato segue l’insanabile contraddizione comune a tutti i paesi asiatici – e al subcontinente indiano in particolare: la miseria e l’arretratezza da una parte ed il ricchissimo patrimonio storico e spirituale dall’altra. Inutile tentare di sbrogliare la matassa, al massimo si può prenderne atto e cercare di comprendere l’Altro – cosa a cui l’autrice è molto interessata – e accettarne la diversità. In uno stile che richiama il migliore Terzani, altro grande narratore dell’Asia, Maria Antonietta Nardone tesse il suo racconto in mille dettagli e quadretti, inframmezzate da note storiche e filosofiche, in un continuo rimando tra passato e presente. Un libro che fa riflettere».

(Massimo Acciai su Segreti di Pulcinella)

 

 

 

«Namasté è il saluto che accompagna i viaggiatori lungo le strade dell’India e del Nepal. L’autrice racconta il suo lungo viaggio – del corpo e dell’anima – attraverso questi due paesi, affrontando temi come le religioni, le caste e la condizione femminile».

(Gianfranco Corino su Oasis)

 

 

Camere e frontiere

Cromografica Roma – 2009

18,00 euro

 

In questi racconti tesi e fulminanti, l’autrice tocca temi diversi, dal rastrellamento degli ebrei romani nell’ottobre del 1943, rievocato quasi sciamanicamente da una violinista contemporanea, al lavoro notturno in un call center, dove alienazione e non senso si affiancano alla solidarietà e ad aspetti schiettamente comici; dallo spaesamento che coglie sia chi è colpito dall’alzheimer sia i suoi famigliari, al dolore fondo e all’ineludibile senso di colpa che abitano chi è sfiorato dalla follia. Il tutto filtrato, ma anche illuminato, dall’arte; le protagoniste difatti sono una violinista, una scrittrice, una scultrice e una pittrice. In altri racconti brevissimi, le paure, le lacerazioni, i conflitti, i deliri di uomini solitari sono espressi in tutta la loro intensità e con un’inventività, stilistica e linguistica, molto originale.

 

 

«Ho letto con molto interesse e partecipazione i racconti [Camere e frontiere]. Sono molto vivi e profondi, con Una vita di servizio come culmine e con Margini come suasiva alternativa della rappresentazione del tragico nella condizione del mondo, della vita, di ogni vita».

(Giorgio Bàrberi Squarotti, critico letterario de La Stampa)

 

 

«È purtroppo facile riconoscersi in questi racconti, in queste storie di precariato, di lavori alienanti, di malattia e sofferenza (peraltro davvero ben narrati); sono tutte storie dei nostri giorni, di molti giovani e meno giovani; ma l'arte, ci suggerisce tra le righe l'autrice, è più grande del grigiore quotidiano e riesce a riscattare vite "inutili", a rendere manifesto l'affetto autentico (per una zia morente, per una sorella morta) che va oltre».

(Massimo Acciai su Segreti di Pulcinella)

 

 

«Il titolo [Camere e frontiere] restituisce subito un “chiuso” e un “aperto”: “camere come spazio finito e “frontiere” come possibilità di varcarlo. […]. Ne danno l’atmosfera Una vita di servizio e La bambina nera (sezione “Racconti da camera”). […] Conoscendo i racconti, posso però dire che nei quattro maggiori, il genere si addice a Nardone e convince a fondo dove la realtà del fuori si stempera per lasciare il posto ad un dentro di sottile e asciutto sentire».

(Maria Lenti su Letti/Visti)

 

Giulia, l’etrusca

Andrea Oppure Editore – 2005

7,00 euro

 

L’inquietudine, l’abbandono, un dolore sordo e senza scampo. In una sorta di viaggio iniziatico, Giulia cerca di tornare alla vita dopo aver perso la cognizione del suo corpo, della famiglia, dell’identità. Sullo sfondo di antiche tombe e civiltà scomparse.

 

  

«Il romanzo [Giulia, l’etrusca] è molto bello per reinvenzione esemplare del genere e per intensità di visioni e di concetti. I personaggi sono colti nella loro passione, nel loro passato, nella memoria della storia atroce del mondo, nella tragicità che si prolunga e dura al di là degli eventi; e amore e morte sono le due facce di sempre, tuttavia acuite e diventate crudeli e disperate da quanto è accaduto nel secolo trascorso. Come alternativa c'è, tuttavia, la speranza (e c'è il sogno)».

(Giorgio Bàrberi Squarotti, critico letterario de La Stampa)

 

 

«Il romanzo palpita, è nel brivido dell’esistere sulla soglia. È fuori luogo in questa sede indugiare in citazioni, dato poi che, come si è appena accennato, tutto il libro su quella soglia respira. Però è giusto osservare che questa si accentua e si infiamma nei punti più alti. Essi splendono soprattutto quando si parla della sofferenza, della sofferenza personale (Giulia che piange su Chiara), della sofferenza, diciamo così, collettiva, sociale, che tocca l’umano come tale (lo sterminio degli ebrei, la malattia, la fragilità fisica). […] Non mi soffermo sull’usata nel romanzo e sbrigliata e pur oculatissimamente gestita fantasia. È considerata anch’essa, per il suo essere infrenabile nel limite, una spia del mistero. Lo stile vive ricco di linfe e di sangue, è agganciato al vero della realtà vissuta, ha ritmi modernissimi eppure nella loro tersità classici. Non mancano richiami che stringono in profonda e poetica unità il romanzo. Sorprendente è quel «un attimo».

(Luigi Commissari, direttore della rivista di filosofia Kamen’)

 

 

«Anche nel suo ultimo romanzo, Giulia, l’etrusca, Maria Antonietta Nardone fa riferimento al “viaggio” analitico. Il cuore di questo libro racconta infatti un simbolico viaggio negli Inferi della psiche che la protagonista Giulia fa con una figura di donna, Marta, con cui rivive ed elabora fino alla rinascita a nuova vita la sua biografia precedente e in particolare il tremendo dolore della morte della figlia.

Riportiamo le frasi dedicate dalla protagonista Giulia al personaggio (simbolico) della terapeuta: Cosa è stata Marta per me? Una figura immaginaria, prima di tutto, ma non per questo meno vera e influente. Uno spirito-guida. Un maestro. Un essere estremamente comprensivo col quale mi sono potuta anche permettere di scontrarmi. Una donna di fantasia – una sorella maggiore – che mi ha portato a scoprire un’altra faccia della mia natura».

(Roberta Andres su Letteratura e blu)

 

 

«Dove non è possibile sbagliare, è sulla qualità narrativa del libro. […] La scrittura ha il fascino ambiguo di una descrizione insieme controllata ed ossessiva. […] Lo splendore di Giulia, come figura letteraria, consiste nella perfezione primitiva della sua sapienza animale».

(Rossano Onano su il filorosso)

 

 

Le allegre vacanze

Andrea Oppure Editore – 2002

9,00 euro

 

Passeggiare a Roma per cinema e teatri. Ogni ingresso è l’occasione per un approfondimento sullo spettacolo andato in scena, sugli autori che l’hanno scritto e gli attori che l’hanno interpretato. Un avvincente “saggio interiore” che unisce le notazioni del diario alla freddezza specialistica della critica, per una didattica del recensire che non manca di affilate stroncature.

 

«Ho subito cominciato a scorrere il Suo Le allegre vacanze, incuriosito dalla coincidenza di sensazioni e giudizi suscitati dagli spettacoli e dai film visti in questi anni (non su tutti; per esempio non concordo con la severità che riserva a “Così ridevano” di Gianni Amelio!). Solo più tardi mi sono accorto che tra gli altri lei aveva visto anche “I cento passi” e ne aveva scritto con simpatia e affetto per me molto lusinghieri. La ringrazio perciò del doppio dono: la recensione al mio film (così amica) e le tante recensioni su tutto quanto le ha fatto compagnia come attenta e appassionata spettatrice. Grazie di nuovo e buona fortuna per il suo bel libro».

(lettera di Marco Tullio Giordana)

 

 

Strade di ghiaccio

Oppure Edizioni – 2001

£ 14.000 – 7,23 euro

 

Un’operazione audace, quella di restituire alla parola scritta l’esperienza così orale, gestuale e metalinguistica di una analisi. Eppure una strada praticabile alle intenzioni narrative (non certo didattiche). La storia di Marianna vive di flussi improvvisi e pause insondabili, interferenze e debolezze. Quelle che rendono il senso di un’autentica comunicazione tra paziente e terapeuta. Alla quale si partecipa grazie a una prosa che riconosce ogni rilievo della geografia interiore cui guarda.

 

 

«Ho letto con viva emozione questo libro [Strade di ghiaccio] così ricco, complesso, difficile. È vero che, ormai, l’enorme fatica dello scrivere e del conoscere la vita possa sciogliersi soltanto per il tramite di un intervento esterno, autorevole, come è, appunto, l’analisi. Così la Nardone ha fatto in modo sapientissimo. Così la vicenda del personaggio si illumina fino alla verità e alla gioia. Il risultato è d’eccezionale valore, nella scrittura lucida e inquieta al tempo stesso».

(Giorgio Bàrberi Squarotti, critico letterario de La Stampa)

 

 

«C’è un brano a p. 141 che esalta l’incontro con il libro [Strade di ghiaccio]: è incontro con chi l’ha scritto, con il suo pensiero, con la sua vita profonda. […] Io ho pensato (anche per il genere letterario in un certo senso vicino) a Etty Hillesum, Diario 1941-1943 (Adelphi). La lettura, pur questa volta, mi è riuscita avvincente».

(Luigi Commissari, direttore della rivista di filosofia Kamen’)

 

 

«L’autrice non racconta una bella storia per intrattenere o insegnare, ma vuole esplorare l’io più profondo e recondito. Rispetto alla Coscienza di Zeno la Nardone, nonostante i momenti conflittuali, dimostra una certa fiducia nella psicanalisi. […] La parola si carica di significati allusivi, diventa pagina piegata a cogliere l’essenza, il gioco dei suoni e del ritmo di una sintassi fluida e di un lessico evocativo. Questa dimensione suggestiva permane in tutto il romanzo, anche nella descrizione degli uomini amati dalla protagonista. Gli elementi realistici, i particolari concreti non riducono mai il senso di struggente malinconia e di aura magica».

(Maria Cristina Pianta su Controcorrente)

 

 

Gli assenti

Oppure Edizioni – 1997

£ 10.000 - 5,16 euro

 

Gli assenti si palesa come un’opera complessa eppure stimolante, in grado di indagare gli scatti dell’anima sempre in bilico fra passione e tormento. Francesca, la protagonista, mostra una problematica ma congrua tenuta nell’affrontare la “traversata amarissima” dell’esistenza. Una figura di pregevole spessore letterario che si giova, alla distanza, di un tratteggiamento mai stucchevole. Di qui l’urgenza della scrittura che offre agilità a una capillare mappa di percorsi interiori acutamente delineati.

 

  

«È un romanzo molto singolare e avventuroso costruito su molti piani di scrittura, di memoria, di visione, di sogno, di riflessione sulle ragioni e sui modi del raccontare, nell’alternanza fra commento e avvenimenti che è spesso molto efficace, così come l’intreccio fra vitalità e senso della morte, dolore e slancio creativo. A me è piaciuto molto, perché rara è tanta complessità di intenzioni così ben dominata e retta».

 (Giorgio Bárberi Squarotti su Storie)

 

 

«Bisognerebbe ora entrare nei particolari, nei vari momenti narrativi: l’uso del ‘flusso di memoria’, del procedere diaristico e altro. Basti riconoscere lo splendido ritmo di molte pagine: è felice, è dono. E dà vita ad un’architettura narrativa di evidenza straordinaria».

(Luigi Commissari, direttore della rivista di filosofia Kamen’)

 

 

«L’autrice non vuole solo raccontare, e lo sa fare in modo piacevole ed avvincente, ma associare più livelli di scrittura: la fabula tradizionale, con le classiche descrizioni fisiche e psicologiche, il diario di Lucio, alcune pagine di una tragedia teatrale. Realtà e finzione sono difficili da scindere. […] In tale ottica bisogna leggere il diario di Lucio e l’epilogo anche se una sintesi maggiore avrebbe reso più efficace l’assunto del romanzo. Sono, comunque, limiti marginali, dovuti a una coraggiosa ricerca che non vuole “catturare” il lettore, ma superare secolari modelli narrativi».

(Maria Cristina Pianta su Controcorrente)

 

 

Ludovica Aran

Rosso & Nero Edizioni – 1995

£ 28.000 – 14,46 euro

 

Un romanzo ricco, dunque, perché pienamente svoltolato senza lesinare né tralasciare nulla. La scrittura di Marita Antonietta Nardone possiede quella grazia e, in particolare, quella capacità di sostenersi ad un’altezza tensionale di prim’ordine, tanto che talvolta sembra riecheggiare certe pagine del Gide de La porta stretta, talaltra quelle del Gide de L’Immoralista, specie là dove veniva magistralmente affermando:«Cerca di fare di te l’essere più insostituibile di questa terra»; mentre il procedere propriamente scritturale ricorda – e non sembri un’ingiuria – non poche volte, soprattutto nelle descrizioni d’ambiente, memorabili ed ineguagliabili pagine proustiane. La grazia di Ludovica Aran sta proprio in queste caratteristiche che ne rendono il dettato accattivante, sinuoso, affascinante. L’ampiezza, inoltre, delle tensioni riporta a volte ai libri del Mailer maggiore, cioè quello, per così dire “prima maniera” – in primo luogo, al clima di Parco dei cervi; oppure anche all’Heinrich di Le farfalle non piangono. Una tensione che è anche lirica, oltre che condotta quasi a fior di pelle, sempre però contenuta mediante uno spessore linguistico di notevole rilevanza; la compostezza della narrazione, che offre del resto numerosi sbalzi da un genere all’altro, è quindi uno dei cardini su cui l’autrice fa ruotare la propria vicenda, incidendo con forza un ritratto in cui le varie età che si susseguono diviene esemplare tratteggio di una dinamica personale in costante crescendo.

 (dalla prefazione di Teresio Zaninetti)

 

 

«[…] Oddio, rimaniamo sempre del parere che una scrittrice di poco più di trent’anni non vada avvicinata a questi nomi, tuttavia il libro è – non troviamo parola migliore – semplicemente, indubbiamente bello: decisamente ben scritto, impastato con maestria di diversi stili narrativi, acutissimo nell’indagine psicologica della protagonista (ed è giusto, infatti, che il titolo consista unicamente nel suo nome), elegante nella descrizione delle scene erotiche, è uno dei romanzi che più ci è piaciuto leggere in questi ultimi tempi».

(Stefano Valentini su La Nuova Tribuna Letteraria)

 

 

«Nella magia del modo di narrare, a salti in avanti e a flashes-back, con felici intuizioni esistenziali e psicologiche, come su un palcoscenico, sfila davanti a noi il racconto: ecco sul proscenio la protagonista adolescente che diventa “donna”. Quindi, per scorci e sbalzi: i sentimenti, gli amori ancora acerbi, i primi approcci sessuali, la partecipazione al proprio “gruppo” studentesco; tutte queste vicende spingono la giovane verso le esperienze, piacevoli o tragiche, dell’esistenza».

(Giuseppe Possa su Controcorrente)

 

  

«Il fascino della trasgressione e l’abbondanza delle proposte e delle “invenzioni”, insieme al ritmo e alla spregiudicata eleganza del linguaggio, fanno di questo romanzo di Maria Antonietta Nardone una delle letture più interessanti del panorama letterario attuale».

(su La Polena)

 

 

«Nessun’altra opera letta ultimamente, e tantomeno quella di uno scrittore giovane, mi è parsa in questo senso più romanzo e più vero di Ludovica Aran di Maria Antonietta Nardone. Il suo libro offre poesia e realismo in abbondanza e lo fa, mi ripeterò fino all’estenuazione, con una eleganza ed una potenza non comuni».

(Antonio Veneziani)

 

 

«Il libro offre una stimolante riflessione sui tragitti interiori di chi, senza reticenze, scava a fondo in se stesso. Ben scritto, il lavoro esibisce un registro linguistico che coordina emozione e rigore narrativo. Una lettura appassionante».

(Fabrizio Pasanisi su Storie)

 

 

«Un romanzo denso e dalla bella scrittura. L’Autrice rivela una notevole capacità espressiva. A tratti emergono situazioni che la accostano alla migliore tradizione narrativa europea dell’ultimo secolo».

(su Cultura e società)

 

Quadri romani

Edizioni Tracce – 1993

£ 25.000 – 12,91 euro

 

Attraverso racconti brevi ed intensi l’Autrice ricrea un microcosmo sociale variopinto e composito, i cui personaggi si muovono freneticamente ma senza motivazioni esplicite, spesso travolti dagli eventi o dai propri inaspettati sentimenti. I “Quadri romani”, così, non determinano il ritratto di una città, ma l’affannarsi di una generazione che cerca di ritrovare in se stessa le motivazioni più profonde dell’esistenza.

Grazie ad uno stile diretto ed essenziale, la narrazione è scorrevole, ricca di percorsi inaspettati all’interno dell’animo umano.

 

 

  «Quadri romani è una testimonianza incisiva del quotidiano giovanile, del malessere esistenziale che percorre la mente ed inibisce corpi e coscienze. L’Autrice riesce con scrittura fresca e scorrevole a dare l’idea della solitudine intima e di gruppo che impedisce la socializzazione e la comunicazione in un mondo introverso generazionale ormai dilagante e soffocante. […] Nardone fa giungere il lettore a queste conclusioni, senza forzature o esagerazioni semplicemente offrendogli una pioggia di ritratti e tagli psicologici che spesso si consumano in una sola pagina».

(Ovidio Piras su Harta)

 

 

«Prima di tutto, la suddivisione in due parti – “Quadri sciolti” e “Sequenze irrequiete” - dà modo alla Nardone di estrinsecare il proprio narrato con una sequenza di vicende, o tranches de vie o, se si vuole, di flashes narrativi in maniera esemplare: rapidi, secchi, fulminanti i racconti della prima sezione; più ampi, costruiti, modulati quelli della seconda. Nei primi abbiamo davanti un linguaggio conciso, come vivisezionante ed espresso con pennellate sapide, decise e precise. Vi sono frasi che si incidono a forza nella memoria di chi legge per la loro sostanzialità connotativa, di efficacia limpida e suadente ad un tempo, inducente ad una riflessione profonda».

(Teresio Zaninetti su Talento)

 

 

«E questa tensione interpretativa è in grado di tenere il lettore saldo sulla pagina: evento raro e misterioso per dei giovani scrittori, ma in questo caso ampiamente verificabile. La scrittura di Maria Antonietta Nardone vuole essere incisiva e oleosa al tempo stesso, carica di sfumature, ma pure pregnante e asciutta. […] L’autrice qui sente un personale bisogno di tornare ad una letterarietà oggi poco in voga, e lo fa con una misura ed una grazia di tatto e di gusto che ci lascia sbalorditi».

(Maurizio Gregorini su Fermenti)

 

 

 

 

 

 

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