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Maria Antonietta Nardone

Fisica, che passione!


COPENAGHEN

regia di Mauro Avogadro

con Umberto Orsini, Massimo Popolizio, Giuliana Lojodice

(Teatro Argentina)


Questo è l’articolo che scrissi quando vidi lo spettacolo al Teatro India di Roma nell’ottobre del 2001.


Riuscireste ad interessarvi – a meno che non siate dei fisici o degli accaniti appassionati – al principio di indeterminazione o a quello della complementarietà, alla meccanica quantistica o alla fissione nucleare, agli elettroni o ai fotoni in una serrata disputa della durata di circa due ore? Ebbene, grazie al testo teatrale di Michael Frayn, Copenaghen, interpretato con sovrana bravura da Umberto Orsini, Massimo Popolizio e Giuliana Lojodice, per la regia di Mauro Avogadro, ciò è possibile, possibilissimo, anzi effettivo.

Nel 1941, a Copenaghen, il fisico danese Niels Bohr incontra il suo vecchio allievo Werner Heisenberg, fisico tedesco con cattedra a Lipsia il quale vive nella Germania nazista. Un incontro misterioso, di cui non si conoscono i contenuti. L’inglese Frayn, con felicissima idea, immagina più versioni dell’incontro tra i due scienziati sotto la vigile presenza arbitrale della moglie di Bohr, Margrethe. E così, su una scena semicircolare che ha per fondali enormi lavagne nere su cui sono state scritte innumeri formule, e su un piano sbilenco, con più livelli, su cui ci sono tre sedie, è come se venissero evocate le figure di queste tre persone realmente esistite, le quali in un appassionato ed ossessivo interrogarsi cercano di ricostruire cosa hanno mai potuto dirsi, in quell’incontro, e, soprattutto, come andò la serata, quali gli umori, gli affetti, le sfumature, le diffidenze ed i riavvicinamenti di due scienziati che negli anni Venti formarono un sodalizio scientifico che produsse risultati eccezionali.

È la presenza di più temi che rende la pièce tesa e coinvolgente fino alla fine. C’è la passione scientifica, dispiegata in due personalità agli antipodi, e che forse proprio per questo si attraggono; la calma e l’autorevolezza di Bohr contro l’impulsività trascinante di Heisenberg. C’è il rapporto maestro-allievo, fatto di sfida e competitività ma anche di forte affetto ed indubbio, inscalfibile rispetto. Un rapporto che è talmente intenso da immergerli in un rapporto padre-figlio, dove si inseriscono la protezione, la preoccupazione ed anche, in qualche modo, la singolar tenzone generazionale inevitabile. C’è la sentita disputa scientifica che implica o costringe a scelte etiche di rilevanza enorme, ad interrogativi filosofici, epistemologici ed ermeneutici ineludibili. Dalla discussione delle varie teorie – «se il calcolo è giusto, funziona» – alla applicabilità pratica delle varie scoperte, tra cui, in quell’epoca, quella della scissione dell’atomo e dello sprigionarsi di quell’incredibile energia, al senso e ai significati a cui Bohr continuamente si richiama e tenta di agganciarsi fino alla necessaria semplicità del linguaggio così che tutti possano capire.

Si interrogano e si reinterrogano queste figure evocate – e che possono provare liberamente a scoprire il senso di quell’incontro proprio perché ora sono tutti morti, morti e sepolti – propongono ipotesi di verità, avanzano varianti mentre intanto noi spettatori ripercorriamo, grazie alle loro parole, le loro vicende private, talune tragiche come la morte di un figlio di Bohr nel lago, e le inquietanti vicende storiche dell’epoca. Dal loro primo incontro, quando un Heisenberg appena ventenne osò dire in un convegno a Bohr che i suoi calcoli erano sbagliati, all’incontro immediato di due anime, alle loro passeggiate e gite fuoriporta in cui parlavano, parlavano e parlavano di fisica, naturalmente, alla collaborazione straordinaria degli anni Venti, alle scoperte e alle pubblicazioni, ad un matrimonio e a un lutto, alla rivalità ed alle gelosie tra colleghi e poi, ecco, l’avvento di Hitler, il nazismo, l’occupazione dell’Europa, la deportazione degli ebrei, la fuga di cervelli negli Stati Uniti o in Gran Bretagna, i bombardamenti su Dresda, Gottinga ed altre città tedesche fino allo sganciamento della bomba atomica su Hiroshima e Nagasaki; tutto questo scorre con calda vividezza ingoiando gli entusiasmi e i dolori di Heisenberg per la sua patria ridotta in macerie, ingoiando la triste amarezza di Bohr. Resta, a noi spettatori, la straordinaria forza del dubbio da coltivare in tempi incerti e violenti.

La regia di Avogadro è abile e persuasiva. Le interpretazioni, soprattutto quelle dei due attori, sono uniche, indimenticabili. Orsini, con i suoi toni di voce, le sue posture, la sua recitazione analitica ed appassionata ad un tempo fa del suo Bohr un uomo abitato dalla ragione e dall’affetto, dal dubbio e dalla passione per la fisica, un po’ distratto sulla data di nascita dei suoi figli, ma marito attento e complice: un ritratto umano di grande fascino e prestigio. Popolizio presta le sue ironie inarrivabili ed un’irruenza adolescenziale al suo Heisenberg, che è ora ambiguo – soprattutto nel suo rapporto con le gerarchie naziste – ora di un’ingenuità disarmante, ora impetuoso ora improvvisamente timido e sottomesso davanti al suo ex maestro. Sembra incarnare la forza e la spregiudicatezza della giovinezza, ma anche le sue fragilità e le sue cecità. Il suo trasporto e il suo impeto quando incontra per un attimo lo sguardo di una donna durante un concerto in cui suonava al piano Beethoven e racconta di come egli, in quell’attimo, l’avesse già invitata a cena, e poi in montagna, e poi sposata, sono commoventi. In diretta successione con il suo tedeschissimo sturm und drang. Giuliana Lojodice offre alla moglie di Bohr un’asciuttezza incalzante, una diffidenza sospettosa, una ratio antidealistica e sommamente pragmatica, facendo di Margrete più un arbitro, un grillo parlante, un pubblico attento ed interessato che una donna tout court.

Questo spettacolo teso, vero, forte, ai ringraziamenti subissato di applausi potenti e liberatori, dota la scena italiana di una materia originale dalla fortissima carica etica e civile. Materia che interpreti e regista hanno saputo animare e scaldare con indiscussa maestria.


(ottobre 2001)


(pubblicato nel n. 6/2001 della rivista Alla bottega e nel mio libro Le allegre vacanze, Andrea Oppure Editore, 2002)

Maria Antonietta Nardone © Tutti i diritti riservati

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