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  • Maria Antonietta Nardone

Una femminilità svilita

LA FAVORITA

di Yorgos Lanthimos

con Olivia Colman, Rachel Weisz, Emma Stone, Nicholas Hoult, Mark Gatiss


L’ultimo film di Yorgos Lanthimos, La Favorita, ci catapulta nel Settecento inglese per raccontare non tanto la regina Anna, l’ultima Stuart al trono d’Inghilterra, quanto piuttosto la lotta senza esclusioni di colpi tra due donne, lady Sarah Churchill, duchessa di Marlborough, e la cugina Abigail Hill, che diventerà baronessa di Masham, nell’accaparrarsi il ruolo di favorita al fianco di una regina inadatta a governare. Mostrerà la graduale ascesa dell’una e la rovinosa caduta dell’altra.

Il taglio del film non è naturalistico bensì caricaturale e grottesco. Eccessivamente caricaturale e grottesco. Una sorta di commedia nera che quando tenta di virare al dramma diventa ridicola. E, nonostante il tono volutamente dissacrante, non c’è alcuna levità, alcuna leggerezza.

Le due contendenti hanno lucidità, spietatezza, ambizione oltre che un grande talento per la manipolazione di fatti e soprattutto di persone. Ben venga la volontà di indagare un femminile negativo. Ben venga! Non è questo il caso di lady Sarah Churchill e Abigail Hill, che rappresentano un femminile ed una femminilità entrambe svilite, non dalla lotta per il potere, ma dal modo retrivo in cui sono viste e raccontate. Per intenderci, non hanno la grandezza di una marchesa de Merteuil ne Le relazioni pericolose di Chordelos de Laclos né tantomeno la finissima potenza di una shakespiriana lady Macbeth. Non sono personaggi con tutto il loro portato di pensieri e sentimenti; sono caricature. E le caricature non hanno complessità né profondità. È questa la debolezza massima ed il forte limite dell’intera operazione. Anche il maschile d’altronde è ritratto in una maniera così macchiettistica da risultare completamente annullato.

Non mi interessa, qui, sottolineare alcuni errori storici. Non è questo il punto. Se si decide però di raccontare una storia ambientata nel Settecento, bè, bisogna almeno rispettarne i canoni. Nel Settecento c’era un protocollo, un’etichetta di corte che rende del tutto impensabili il linguaggio ed i comportamenti usati nel film. Davvero impensabili. Certo che c’è uno squallore e una laidità del femminile, ma non poteva avvenire così, non in quel contesto. Un’idea di che cosa fosse il rispetto dell’etichetta nel Settecento francese, ad esempio, la crudeltà e l’assenza di umanità nella vita di corte, la vita e la dignità dell’individuo che non contano nulla davanti alla forma che in quel secolo era sostanza, e, sì, anche il sesso usato per raggiungere degli obiettivi, l’ha meravigliosamente data Patrice Leconte con il suo Ridicule (1996).

Ho trovato questo film noioso e forse anche nocivo. Perché mi è sembrato che l’intera visione sia l’idea che un reazionario ha della femminilità e del femminile (attenzione, non di una femminilità omosessuale, bisessuale ecc. bensì proprio della femminilità tout court).

I giochi di regia, i grandangoli e gli occhi di pesce, rivelano una perizia fredda e fine a se stessa.

Sono le tre interpreti che mi hanno fatto arrivare fino alla fine della storia. Su tutte, Olivia Colman, che incarna la mediocre, collerica e dolente regina Anna, giganteggia perché è un gigante di suo. E tocca lo spettatore in quei rarissimi momenti in cui il suo dolore autentico rompe la maschera caricaturale per trafiggere chi la guarda. Spero ed auguro a quest’attrice di mostruosa bravura di avere ruoli all’altezza del suo grandioso talento. Rachel Weisz è sottilissima nell’interpretare tutta l’arroganza e la smodata ambizione della sua duchessa di Marlborough. Emma Stone cerca di stare al passo delle altre due attrici e, a volte, ci riesce.



P.S.

Durante i dodici anni di regno della vera regina Anna di Gran Bretagna, dal 1702 al 1714, operarono e brillarono scrittori come Jonathan Swift, Daniel Defoe, Alexander Pope.

Fu durante il suo regno, nel 1709, che si vide la prima rilevante legge sul diritto d’autore che dava finalmente i diritti esclusivi agli scrittori invece che agli stampatori. Legge nota come Statute of Anne.



Maria Antonietta Nardone © Tutti i diritti riservati



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