La stagione incerta
- Maria Antonietta Nardone
- 26 apr
- Tempo di lettura: 6 min

(Foto della locandina presa dal web)
SOTTO LE FOGLIE
di François Ozon
con Hèléne Vincent, Josiane Balasko, Ludivine Sagnier, Pierre Lottin, Garlan Erlos, Paul Beaurepaire, Sophie Guillemin
Quando viene l’autunno la luce indora foglie e case, cieli e campagne in un paese della Borgogna. Quand vient l’automne – titolo originale dell’ultimo film di François Ozon, reintitolato in Italia Sotto le foglie – si presenta nell’esistenza di un individuo l’indeterminatezza di una stagione che può sfociare nell’indeterminatezza della mente o, addirittura, della morale.
Michelle è un’anziana, dignitosa signora con i capelli trattenuti in una crocchia che va a messa la domenica, che cura l’orto di casa, che si prepara i pasti con gesti attenti e misurati, che si addormenta sistematicamente durante la lettura di un libro. Gentile con tutti, ha una sola grande amica, Marie-Claude, che accompagna con la sua macchina sia in un centro ospedaliero per fare la chemioterapia sia nel carcere dove è detenuto il figlio Vincent per reati di poco conto.
Michelle attende con ansia l’arrivo da Parigi della figlia Valèrie soprattutto per godersi la presenza del nipote Lucas, da lei molto amato. Nell’attesa va a raccogliere funghi nel bosco con Marie-Claude in grandi ceste di vimini. Ma l’arrivo dei suoi cari non apre ad un quadro idilliaco. Valèrie, incattivita da un prossimo divorzio dal marito, è sistematicamente sgradevole con la madre, a cui non risparmia battute violente e feroci. Michelle subisce pur di avere accanto a sé il nipote per un breve soggiorno. Ma il caso o la sfortuna ci mettono lo zampino.
Valérie viene ricoverata al pronto soccorso. Si viene a scoprire che la torta salata che Michelle ha cucinato è stata fatta con funghi velenosi. Convinta che la madre l’abbia avvelenata appositamente, la donna ritorna subito a Parigi, portando con sé Lucas; anzi, dichiara alla madre che le non farà più vedere il figlio. Michelle accusa il colpo.
Intanto Vincent è uscito di prigione e Michelle lo assume come giardiniere del proprio fazzoletto di terra dietro casa. Valèrie, dopo una visita inattesa, muore precipitando dal balcone del suo appartamento. Incidente o suicidio? La polizia è prossima ad archiviare il caso.
Fin qui lo spettatore ha visto un film che, improvvisamente, sembra ribaltare tutte le carte in tavola, fino a delineare una storia ben diversa da quella fin qui raccontata. Michelle ha un passato pesante (la prostituzione) che condivide con l’amica del cuore, Marie-Claude. Questa è la ragione del decennale conflitto che Valèrie aveva con la madre.
Non proseguo oltre per non svelare il proseguo di questo noir che si inserisce con naturalezza nella storia dei grandi noir di Claude Chabrol come Il fiore del male o Grazie per la cioccolata. Ed è davvero con un brivido che penso a Mika (Isabelle Huppert) quando alla fine di Merci pour le chocolat afferma con straniante freddezza:«Il male lo trasformo in bene. Più è violento dentro di me, più si manifesta in bene».
Ozon, poi, lascia che sia lo spettatore a farsi la sua idea su quanto realmente accaduto, disseminando tuttavia tracce e dettagli che potrebbero essere rivelatori, sia per chi opta per l’incidente sia per chi opta per il suicidio sia per chi opta per un omicidio, come, a tratti, sembra emergere da ulteriori indagini della polizia. Quello che preme al regista, se non ho capito male, è fino a che punto si può spingere il proprio desiderio di essere felice? Qual è la vera famiglia, quella di sangue, o quella, di nuova ed eterodossa composizione, dove però scorra affetto autentico, comprensione reciproca e “aiuto” nel bisogno? E questa comprensione, questo aiuto possono contemplare anche un crimine? Possono includere l’omertà complice di un crimine?
Il regista, da parte sua, sospende ogni giudizio. Mostra solamente. Certo, spoglia la vecchiaia da qualsiasi vulgata bonaria e rassicurante per immetterla in un mondo di mezzo dove affiorano pensieri e desideri tutt’altro che tranquilli e/o leciti. Insomma, si interroga e ci interroga, senza dare una soluzione definita e definitiva.
Vedendo questo film, Sotto le foglie, mi è venuto in mente Macht-point di Woody Allen, uscito vent’anni fa. Se Allen descrive con molto distacco la vicenda di un uomo che si libera di ogni scrupolo, di ogni etica, di ogni passione pur di non perdere un’agiatissima posizione sociale, Ozon, in una maniera più sottile ed allusiva descrive la vicenda di una donna che potrebbe essere stata tentata a compiere un crimine pur di non perdere la presenza e l’affetto del nipote nel suo ultimo scorcio di vita. Quello che colpisce, in entrambi i film, è la facilità del ricorso all’omicidio; questo ricorso all’eliminazione fisica dell’ostacolo o di colui o colei che è ritenuto tale, come se non ci fossero altre soluzioni o possibilità. Io credo che questo tocchi un ganglio vivo, vivissimo e pulsante della vita contemporanea. Si pensi, ad esempio, a quanti adolescenti ricorrono al suicidio, naturalmente per altre ragioni. Colpisce proprio questo: la facilità con cui la morte, propria o altrui, sia considerata come una soluzione di un problema. Una delle possibili soluzioni di un problema. C’è davvero di che riflettere e di che inquietarsi. Ed è nella descrizione raffinatissima di questo paese della Borgogna, nel primo quarto di secolo di questo Terzo millennio, di questa nuova e possibile assenza di morale, che sovverte il pensiero della legge morale di Kant, che ha sostanziato il pensiero filosofico europeo per secoli, che il regista francese è esemplare, anzi, magistrale, nel disseminare il suo racconto di elusività e sfumature, opacità volute e somma ipocrisia. Basti pensare che il film inizia con la lettura di un episodio dei vangeli in chiesa (sulla peccatrice che lava i piedi di Gesù con le sue lacrime e li asciuga con i suoi capelli, tra l’altro) e si chiude con un pre-finale che si svolge ancora in chiesa.
Ozon, come scrivevo sopra, non giudica; e lascia allo spettatore la libertà di costruirsi la propria versione dei fatti, infarcendo il racconto di dettagli molto significativi. A me, nella costituzione della mia idea dei fatti, ha colpito il ricorrente senso di colpa di Michelle (rappresentato dal fantasma della figlia), la sua reazione (anzi la sua non-reazione alla confessione in punto di morte di Marie-Claude), l’assenza del dolore provocato da un lutto devastante (com’è la perdita di un figlio/a), per non parlare delle dichiarazioni non corrispondenti al vero date alla nuova ispettrice di polizia sia di Michelle, sia di Vincent sia di Lucas.
La sceneggiatura, firmata dallo stesso Ozon assieme a Philippe Piazzo, è straordinaria per la struttura originale di questo ammaliante racconto cinematografico che spicca, oltre che per i temi e gli interrogativi che suscita, anche per misura e finezza. E, in questo film, ritorna la figura del fantasma, come in Sotto la sabbia, sebbene con valenza assolutamente diversa. E ritorna anche l’assoluta imprevedibilità degli esiti di un’azione come in Nella casa. E ritorna, soprattutto, quell’indefessa indagine sulle relazioni famigliari che procurano tanta sofferenza e tanta rovina a suoi membri, e su quale sia la vera “eredità” che i genitori lasciano ai figli o ai nipoti.
La fotografia di Jérôme Alméras è abile nel riprodurre il calore dei vari ori ed aranci dell’autunno nonché la sua bruma o la sua vischiosa nuvolosità.
Gli interpreti sono, tutti, uno più bravo dell’altro. Garlan Erlos è un fresco Lucas adolescente, con tutta la sua freschezza e la sua insicurezza mentre Paul Beaurepaire impersona un più problematico Lucas ormai studente universitario. Sophie Guillemin è una concreta ed intelligente ispettrice di polizia. Ludovine Sagnier è perfetta nei panni di una Valèrie letteralmente insopportabile, prima, e in una Valérie infine pacata pur nel ruolo di un fantasma. Pierre Lottin incarna tutta la veemenza e la forza non sempre controllata della giovinezza di Vincent così come la tenera protettività di un fratello maggiore nei confronti di Lucas. Hèléne Vincent (Michelle) e Josiane Balasko (Marie-Claude) sono eccezionali. Vederle recitare è un piacere indiscusso. Hèléne Vincent dà alla sua protagonista una messe continua di sfumature e di toni, passando da una vecchina innocua e maltrattata ad una nonna stordita, ma sempre attaccatissima al nipote, da una donna che non rinnega il suo passato di prostituzione (anche se Ozon non rivela nulla al riguardo) ad una vegliarda tenera ed orgogliosa, con una misura ed una perizia che sono strabilianti. Josiane Balasko, nota come attrice anche per diverse parti comiche, è attrice portentosa – è anche sceneggiatrice, regista e scrittrice di romanzi. La sua Marie-Claude così appesantita dagli anni e dalla malattia, così “divorata” da un rimorso che la consuma più del tumore, comunica con grande efficacia tutta la sua dolente impotenza di madre, di essere o non essere stata una buona madre. Per me ella resta l’indimenticata Renèe Michel, portinaia al numero sette di rue de Grenelle a Parigi ne L’eleganza del riccio, capace di trasmettere in una maniera unica tutta la potenza e la ritrosia ad ogni tipo di vanità dell’autentica, grande letteratura.
Quando viene l’autunno, sotto le foglie, crescono funghi che possono essere commestibili o velenosi, nutrienti o mortiferi, proprio come crescono le idee in certi esseri umani che si trovano a vivere la stagione incerta della vecchiaia, con tutta la loro porosità ad una generosità senza limiti o ad un egoismo amorale e senza scrupoli. O ad entrambi, inestricabilmente congiunti, come ci suggerisce un oltremodo stimolante François Ozon.
Maria Antonietta Nardone © Tutti i diritti riservati
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