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Dovevo proteggere la mia anima

Maria Antonietta Nardone

(Foto della locandina presa dal web)


CONTROFIGURA

 testo di Antonello Toti

 regia di Christian Angeli

con Patrizia Bernardini, Simone Destrero, Andrea Lami, Francesco Polizzi, Vittoria Vitiello

 (Teatro Tordinona – Roma)

 

 

A luci ancora accese in sala, il regista dello spettacolo inizia a parlare sul palco. Lo raggiunge l’attrice protagonista, Patrizia Bernardini, di nero vestita con stivali rosa fin sopra al ginocchio, pronuncia qualche parola ed ecco che irrompe in scena l’intera compagnia: Francesco Polizzi, in sedia a rotelle, Andrea Lami, lunghi capelli sulle spalle e uno chignon in testa, Simone Destrero, letteralmente in mutande, Vittoria Vitiello, in tuta da casa.

  Il tono è scanzonato, eccitato, a tratti comico. Ma la scenografia, per contrasto, suggerisce altro: palco scuro, un grande quadro nero con una cornice dorata, lampade che pendono dall’alto ricoperte da una sorta di sacchi bianchi con scritte nere come: Momento, Tutto, Nulla.

   Parte l’opera di finzione, quella in cui gli attori diventano personaggi. Sasha è una donna che vive a Belgrado con il marito Goran, costretto a spostarsi con una sedia a rotelle, ed ha una figlia avuta dalla prima moglie, Milena, che manifesta un pesante disagio psichico. Sasha, che in passato ha fatto la controfigura, è ora un’attrice di film pornografici ed è con questo lavoro che provvede al mantenimento della sua famiglia che definire “disfunzionale” è poco. Nonostante un marito ed una figlia acquisita, Sasha, prima ancora che di un’amnesia che le ha cancellato il passato, soffre di disamore; sì, non si sente amata da Goran mentre, al contrario, Milena la “bracca” con un’attenzione erotica ed ossessiva.

   In questo ménage famigliare irrompe un giovane bosniaco, Borislav, che riconosce Sasha per averla vista in un documentario sulle vittime di guerra (i terribili conflitti civili e secessionisti che travolsero e stravolsero i Balcani dal 1991 al 2001 mentre la guerra in Bosnia durò dal 1992 al 1995); la riconosce, sì, ma la riconosce come un’altra donna, un’altra persona, che viveva in una fattoria poco fuori Sarajevo, sposata a Faruk (suo zio), sorella di Markus.

   Sasha pensa che sia tutto uno scherzo e canzona Borislav. Che insiste. Che la invita ad andare a Sarajevo, a conoscere il suo vero marito, Faruk, ad indossare il velo… Ma no, Sasha ha sempre vissuto a Belgrado!

   Affiora, inaspettata, una parola croata per dire “pantaloni”. Affiora, più oltre, una filastrocca croata di cui, a poco a poco, Sasha (o Patka) ricorda e computa tutte le parole.

   Affiorano, da una città all’altra, traumi che non possono essere sciolti, ferite che non possono essere ricucite. Goran continuerà a vedere i bosniaci sempre come esseri «sporchi, puzzolenti e bugiardi»; Faruk continuerà a vedere i serbi come dei demoni infoiati, assassini e depredatori. A volte l’oblio può essere l’unica salvezza davanti al ricordo di violenze indicibili.

   Difatti, a me è parso che non sia tanto una questione di memoria o di amnesia quanto piuttosto una questione di uso della persona, di strumentalizzazione dell’identità altrui – certo, un uso reso possibile dall’identità incerta della donna. In questo testo, Controfigura, scritto da Antonello Toti, che si è liberamente ispirato al dramma in tre atti di Pirandello Come tu mi vuoi, quello che emerge è l’uso che entrambi i mariti fanno della persona e dell’identità di Sasha, per scopi di più prosaica sussistenza economica. L’amnesia è funzionale a questo sfruttamento (non ho trovato un’altra parola per dirlo). E qui Toti si discosta molto da Pirandello che col suo dramma racconta come sia inutile approfondire o arrovellarsi sull’autentica identità di una persona perché tanto niente è certo; né l’identità esistenziale e sociale né l’identità puramente anagrafica. Toti, invece, focalizza la sua attenzione sulla convenienza che può dare l’identità incerta o ignota di una persona, specie se la tal persona, a sua volta, per mancanza di un’adeguata difesa e struttura psicologica, sembra quasi lasciarsi “usare” dagli uomini che ha o avrebbe sposato.

   Inoltre, ho molto apprezzato la raffinatezza dell’autore per non aver “esagerato” o calcato la mano sugli stupri etnici perpetrati dai militari e paramilitari serbi. È stata sufficiente una battuta per farmi trasalire: al racconto di Faruk sulle irruzioni dei serbi nelle case dei bosniaci, quando gli viene chiesto che cosa rispose un padre di famiglia sulla sorte della figlia bambina:«Che cosa è accaduto alla sorellina?». «Non l’ho più chiesto», risponde Faruk «perché [il padre, ndr] scoppiava a piangere».

   La regia di Christian Angeli è originale e fluida, mantiene un gran ritmo per tutta l’ora e venti della messinscena, e, con quella sedia a rotelle che si muove indefessamente sul palco sembra come tracciare linee di impotenza e di dolore entrambi irredimibili. All’ottima regia si sono affiancate le luci che intagliano e definiscono volumi e forme firmate da Massimiliano Maggi, la scenografia tanto cupa quanto estremamente espressiva ad opera di Claudia De Palma e Giorgia Loser, e le musiche belle e sommamente evocative composte da Federica Clementi.

   Gli interpreti sono molto coinvolgenti, ma hanno avuto una resa diseguale – almeno alla prima a cui io ho assistito. Francesco Polizzi, molto in parte e convincente, incarna un Goran che vorrebbe essere spaccone, ma non può più esserlo – e non solo perché è su una sedia a rotelle; ricorre così ad un’ambiguità efficace, efficacissima, considerando quanto racconta a se stesso per sopravvivere, almeno psichicamente.

   Andrea Lami è bravissimo nelle esitazioni che deve avere il suo Borislav, nella sensibilità di un giovane che non può e non sa dire quanto realmente accaduto alla moglie dello zio Faruk.

   Vittoria Vitiello è una giovane attrice poderosa, forte, irruente, che dà alla sua Milena sofferenza fisica e psichica, ma sa essere anche un esserino smarrito e rannicchiato, che canta flebili nenie infantili.

   Simone Destrero, pur dovendo dar corpo ad un Faruk untuoso, mieloso ed incredibilmente  ipocrita, l’ho trovato meno convincente e definito rispetto al tratteggio di tutti gli altri personaggi, decisamente più incisivi e scolpiti.

   Patrizia Bernardini nel ruolo di Sasha (o di Patrizia detta Patka) è attrice dal carisma indiscusso, capace di catturare sguardo ed attenzione dello spettatore dall’inizio alla fine dello spettacolo; è attrice capace di giostrare con magistrale disinvoltura toni, sentimenti, posture, reminiscenze, sogni molto diversi tra loro. Muove al riso ed appassiona. Emoziona e commuove. Il suo è indubbiamente il personaggio più indagato di questa interessantissima prova drammaturgica di Antonello Toti e quando, nel pre-finale, pronuncia quel lapidario «non ho più desideri» lascia gli astanti veramente senza fiato.

   Dalla regina Giovanna di Aragona e di Castiglia, detta Giovanna, la Pazza (Giovanna sotto il sego del tempo) ad April, una signora londinese di fine Ottocento (Gli amici degli amici), dall’imperatrice Elisabetta d’Austria, detta Sissi, alla sua parrucchiera Fanny (La parrucchiera dell’imperatrice), dalla sola voce fuoricampo (Il miracolo) fino a questa Sasha (Controfigura), Patrizia Bernardini è interprete che lascia un segno forte e significativo dei suoi passaggi teatrali perché la sua arte tocca gli animi in profondità.

     E, a proposito di animi e di anime, ho un’amica croata molto cara, Vesna, che vive in Italia da tanti anni e che ha visto gli amici di una vita uccidersi l’un con l’altro, o mutilarsi l’un l’altro, durante i conflitti che hanno portato alla dissoluzione dell’ex Jugoslavia. Ebbene, non dimenticherò mai la frase che mi disse quando ammise di non voler parlare più con nessuno di quelle guerre fratricide:«Sai, devo proteggere la mia anima». Ecco, Shasha e il suo strenuo desiderio di difesa da un terribile che è avvenuto mi hanno ricordato quella sua lancinante affermazione:«Devo proteggere la mia anima». Sasha, consciamente o inconsciamente, ha dovuto proteggere la sua anima.

 



 

Maria Antonietta Nardone © Tutti i diritti riservati

 

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