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Maria Antonietta Nardone

Una vita viva


ANNI DI GRAZIA

di Evelina Piscione

Castelvecchi Editore (Lit Edizioni) - 2022



Anni di grazia di Evelina Piscione è un romanzo bello e raro. Attraverso le vicende della protagonista, Maria Simone, dei suoi famigliari e dei suoi amici, si indaga la vitalità di una fede che si rinnova costantemente perché si interroga continuamente.

Maria, nata nei primi anni Sessanta, cresce apparentemente serena nonostante non abbia mai visto e conosciuto la madre, Ines, un’argentina ritornata nella sua terra natìa – anche perché è teneramente accudita dal padre e dai nonni paterni. Durante gli anni universitari incontra Giacomo, un brillantissimo studente di filosofia, di cui si innamora. E con Giacomo incontra anche il “mondo” di Comunione e Liberazione, che ha le sue luci ma su cui cominciano già ad addensarsi ampie ombre, davanti alle quali Maria non può e non vuole chiudere gli occhi.

«Il desiderio di conoscere è gratuito e libero» sostiene Maria che diventa così un’amatissima professoressa di Storia e Filosofia nei licei romani, ricercata dai suoi allievi anni e anni dopo la conclusione della comune esperienza scolastica. A chi si chiede:«A che cosa serve la filosofia?» sono io a rispondere con le parole di Vladimir Jankélévitch:«A niente. La filosofia non serve a niente perché non è serva di nessuno – come sosteneva già Aristotele. La filosofia non è un utensile: una forchetta serve a mangiare, un coltello serve a tagliare, una sedia a sedersi ecc. La filosofia si fa».

La storia, intrecciata alle storie di altri personaggi che sposteranno l’azione, nella parte centrale del romanzo, a Buenos Aires, prosegue fino al 2013 e oltre. Ed è qui, in Argentina, che il lettore coglie il nucleo profondo da cui è partita la scintilla di narrare. È qui che conosciamo Blanca. È qui che cominciamo a “vedere” come il romanzo si strutturi sulla diversa reazione che Maria e Blanca hanno avuto davanti all’abbandono – e all’abbandono principe ossia l’abbandono della madre. È qui che comprendiamo perché sia così ricorrente il nome di Maria, la figura stessa della Madonna, i resti della giovane incinta trovati negli scavi fatti ad Ostuni, la Madonna del Pozzo ecc. La maternità accudente e salvifica si confronta, nella realtà, con una maternità che rifiuta e abbandona. È questo elemento compensativo, che attraversa tutta la narrazione, prova inconfutabile di una grande raffinatezza della scrittrice.

Si vedono il mare d’Abruzzo e le montagne della Lucania; si vedono le acque color caffèlatte del delta del Paranà e i suoi salici piangenti, o la polvere e il fango dell’Elefante Bianco e di Villa 21 a Buenos Aires, in Argentina; si vede Roma, le sue vie, le sue birrerie, le sue pizzerie, le sue chiese e i suoi monumenti; si percorrono alcune vie di Londra ecc. Si vede questo e altro eppure la vera tensione, anche narrativa e non solo speculativa, è nei dialoghi dei personaggi attraverso i quali vengono argomentati i temi teologici, filosofici, esistenziali e storici che premono all’autrice. La struttura di questo romanzo a me pare sia data non tanto dalle vicende dei personaggi – che pure ci sono e sono accattivanti – quanto dai loro dialoghi che esprimono in una maniera adamantina quanto sta più a cuore ad Evelina Piscione: si indaga la propria fede nel mondo, nelle vicende del mondo più prossimo, la famiglia, e del mondo più largo in cui si vive che è e diventerà storia; ci si sofferma sulla fecondità che non è una maternità esclusivamente fisiologica quanto piuttosto un maternage che accoglie ed abbraccia persone, luoghi e idee ed è fecondo soprattutto di doni e domande; racconta la difficoltà di perdonare quando l’origine stessa dell’esistenza scaturisce da un abbandono, e dall’abbandono più traumatico che possa esistere per un essere umano, ossia quello della propria madre.

I personaggi di questo romanzo si interrogano tutti con lucidità e chiarezza di esposizione e nascono discussioni e riflessioni alte su potere e grazia, sulla testimonianza di umanità portata con una dedizione materna che si opponga alla volontà di distruzione espressa dall’eroismo della brutalità, sull’«ordo amoris che si gioca sulle scelte quotidiane più che sulle parole, eppure anche le parole dicono…».

La forza di queste argomentazioni mi ha ricordato la forza stringente di un romanzo filosofico come Il nipote di Rameau di Diderot; non per i temi, naturalmente, ma per la forza argomentativa che struttura entrambi i romanzi. Questa forza argomentativa, che sorregge anche l’impianto narrativo, era del resto già presente nel bellissimo dialogo immaginario che l’autrice dedicò alla figura di Agostino d’Ippona, visto da una prospettiva inusuale, andato in onda nel 2009 nel programma “Faccia a faccia improbabili alla Radio Vaticana - Evelina Piscione incontra la concubina di Agostino”.

Tanti i personaggi che impariamo a conoscere: Maria e Teresa, Giacomo, Giorgio, il fratello di Giacomo, Paolo, don Franco e don Gabriele, e poi Ines, Ines Maria e Jorge, e Blanca.

I personaggi femminili hanno la capacità di percorrere un cammino spirituale in tutte le relazioni, dalle più significative alle meno significative, e tutto è e sembra incarnato. I personaggi maschili, eccetto i due sacerdoti anche concreti come don Franco e don Gabriele, si profondono nelle grandi visioni sistemiche del mondo.

Tanti i temi messi in campo ed indagati. Incontriamo le perplessità della protagonista che si riconosce in un Movimento (CL) nato come ascolto e aiuto reciproco e solidarietà con gli ultimi, ma non più in quello che nel tempo è diventato: un’associazione affaristico-politica dove il potere e la sete di guadagno, anche illecito, dominano quasi incontrastati e i moti originari di ascolto ed aiuto reciproco sembrano essersi completamente dissolti.

Sono quindi anni di grazia o anni di potere? Lo scopriremo. Le madri, le mogli, le sorelle, i figli dei desaparecidos in Argentina, prodotti da una tirannia omicida e liberticida, entrano con prepotenza in questo romanzo, ma non voglio rivelare troppo. Ci immergiamo in dialoghi dove i dialoganti sono tutti straordinariamente votati ad un ascolto partecipe e paziente prima di rispondere e ribattere con passione e tenacia.

Anche le condizioni sociali di alcuni personaggi sono indagate con grande attenzione. La condizione sociale di Maria, che vive nel quartiere Prati di Roma, e la condizione sociale di Blanca, che viveva in una delle tante baraccopoli che cingono Buenos Aires, non potrebbero essere più lontane. Il contrasto è stridente. Eppure la solidarietà sembra respirarsi più in quelle condizioni di indigenza e miseria estreme che non a Roma, nel cuore della cristianità, e a due passi dalla basilica di San Pietro.

Nel romanzo è pertanto espressa anche la crudezza della realtà e la terribilità di particolari momenti storici.

È indagata infine una fede genuina, una fede da tenere sempre viva e vitale, che non sia una cosa morta, pietrificata, e quindi senza senso. Bello ed inusuale leggere un romanzo che impianti tutto su una “vita viva” della fede tanto che mi sono venute in mente le possenti parole di Carlo Maria Martini:«Io chiedevo non se siete credenti o non credenti, ma se siete pensanti o non pensanti. L’importante è che impariate a inquietarvi. Se credenti, a inquietarvi della vostra fede. Se non credenti, a inquietarvi della vostra non credenza. Solo allora saranno veramente fondate». Ecco, io credo che Evelina Piscione si muova in questo solco tracciato da Martini. E lo fa con una trasparenza d’animo ed un’onestà intellettuale che commuovono.

Stupisce il tono pacato e magnanimo che impronta tutte le storie dei vari personaggi dove i conflitti sono appianati o ricomposti. Non ci sono mai scontri aspri, capaci di bruciare amicizie ed affetti, ma è sempre dispiegata una forza sovranamente ed imperscrutabilmente conciliatrice. La prosa si rivela curata, incisiva e scorrevole al tempo stesso.

Mi piace concludere queste mie considerazioni trascrivendo il bellissimo incipit di questo romanzo ricco e stimolante:«Maria si fermava a scuola ore e ore a parlare con gli amici. Erano amici i colleghi, le bidelle e i portieri. Gli alunni erano altro, mai amici finché alunni, neanche quando gli anni di distanza erano stati davvero pochi, talmente pochi da creare qualche imbarazzo».






Maria Antonietta Nardone © Tutti i diritti riservati



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