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  • Maria Antonietta Nardone

Davvero Eva non è sola?


EVA NON È SOLA

di Autori Vari (progetto a cura di Lorena Marcelli)

pubblicato dagli Autori con la tipografia Cns – Vaprio d’Adda (Milano)



Con una cascata di racconti e poesie che travolgono il lettore per la loro potenza, si presenta il libro Eva non è sola, un’antologia curata da Lorena Marcelli, che raccoglie i testi di una trentina di autori italiani, chiamati a narrare le infinite violenze che si abbattono sull’essere femminile, a qualsiasi età.

E si apprende, racconto dopo racconto, la triste casistica di queste violenze nel suo petulante riproporsi e rinnovarsi.

Sia detto senza ipocrisie: la letteratura arriva e colpisce più della cronaca. Perché la letteratura, come scriveva Elsa Morante, coglie la realtà (e quindi la verità o un frammento di verità) molto di più di quanto la cronaca, sia pure la più terribile, riesca a fare.

Una pagina dietro l’altra si è avvolti da un carico di dolore, da un senso di oppressione che non lascia scampo. Se fosse solo letteratura, potrei dire che un maggior dosaggio della sofferenza sarebbe oltre che stilisticamente migliore più emotivamente efficace. Ma, pur essendo letteratura, ed una letteratura a forte vocazione pedagogica – come confermano le diverse presentazioni del libro nelle scuole – non è questo ciò che più conta. Il peso e la sgradevolezza sono voluti ed arrivano con tutta la loro forza proprio perché allineati uno dopo l’altro. Insomma, questo è un volume che colpisce duro e tramortisce quasi come un pugno ricevuto in pieno stomaco.

E così si passa dalla donna venduta dal marito ai suoi amici «perché loro gli servono» all’ultimo appuntamento visto dalla prospettiva di una violetta selvatica, dal terribile segreto affidato ad un diario chiuso con il lucchetto a sfiduciate rassegnazioni al dolore altrettanto terribili; e poi mariti che picchiano le mogli in case che divengono gabbie da cui sembra impossibile evadere, padri e patrigni che stuprano figlie ancora bambine, insospettabili professionisti che uccidono l’amante senza essere scoperti, radicatissime autosvalutazioni, percosse ed umiliazioni, prostitute incinte, assassini sessualmente impotenti, donne spedite in coma a forza di botte ecc.

Tanti i racconti che mi sono piaciuti, ma quello che più mi ha colpito per compiutezza di stile e struttura è Una questione di immagine di Roberta Andres. È il racconto che, pur nella sua brevità, riesce a ritrarre più limpidamente la psicologia della protagonista avvalendosi di suggestive descrizioni d’ambiente che portano maggiori sfumature al suo personaggio. Ed ha una fine del tutto inaspettata. Almeno per me. Mentre Brandelli di Gisella Orsini, che reimmagina una storia realmente accaduta, è crudo e fresco allo stesso tempo. Quel sussurro «alcol e fiammifero» non mi si toglie dalla testa, così come la vicenda di Palmina Martinelli, la ragazzina di quattordici anni bruciata viva perché si rifiutò di prostituirsi come fu costretta a fare la sorella, e a cui l’autrice si è ispirata.

Maria Giovanna di Franca De Angelis è la rappresentazione secca e lucida della vita di milioni e milioni di donne, a tutte le latitudini. Molto originale anche nella sua costruzione scandita dagli orari e dalle mille incombenze e “lavori” che costituiscono la giornata-tipo di donne che sono mogli, madri, lavoratrici fuori e dentro casa, a cui si richiedono energie inesauribili nonché silente sottomissione. L’odore bruciato del latte di Simona Colaiuda è il toccante racconto di un ‘destino’ segnato e la cronaca di una morte annunciata di una giovane, sognatrice tenacissima nonostante tutta la bruttezza che l’ha circondata e ferita, ma non sporcata.

La poesia Ho bisogno di acqua di Andreina Moretti esprime con forza e con sensibilità le sensazioni dello stupro subito quando, dopo, tutte le donne violate vogliono soprattutto fare una doccia per lavare via l’offesa e «trascinare nelle fogne/ l’impotenza, la vergogna e la rassegnazione».

A lettura compiuta, mi sembra che questo libro abbia tre elementi che accomunano quasi tutti gli scritti: il vittimismo, la paura, la figura salvifica che, quando c’è, è sempre una donna – amica, suora, senatrice. Il vittimismo è nemico alle donne. Le ingabbia spesso perfino più della paura. Il tono vittimistico percorre tante protagoniste di questi racconti – non so quanto ne siano consapevoli gli autori. Mi sento di dire, tuttavia, che l’atteggiamento ed il tono vittimistico non solo aizzano i moti sadici, ma perpetuano la condizione di subalternità o di inferiorità introiettata da donne poco consapevoli, diciamo così.

E così se la violenza e l’omicidio delle donne, così come la loro discriminazione nella società è un problema culturale, antropologico, educativo, giuridico, sociale, ebbene non si può disconoscere la complessità e la vastità di questo problema; perché niente è semplice nelle relazioni umane, ça va sans dire.

Ed ora sarò scomoda. Sarò coscienza critica. Da un punto di vista psicologico (e di psicologia del profondo), ad esempio, si ha a che fare con l’archetipo; con l’archetipo del maschile che fin dall’antica Grecia ha visto dèi ribaldi e violatori che si trasformano in animali o in pioggia pur di possedere un’altra dea o una ninfa. Perfino Zeus, nel ratto di Europa, si trasforma in toro bianco che, spiccando in volo, la rapisce, la porta sull’isola di Creta e qui le dichiara il suo amore.

L’archetipo, che ci abita nel profondo, è inimbrigliabile e potentissimo. Ecco, mi chiedo: si può intervenire sull’archetipo? Si può modificarlo? E, se si può intervenire, come lo si può fare?

La letteratura, inoltre, non può essere esclusivamente volontà educativa, dacché è principalmente conoscenza. E quindi non si possono nascondere le ambiguità, le complicità inconsce (collusioni), le relazioni psicologicamente sado-masochistiche – nelle quali carnefice e vittima si alimentano a vicenda in un groviglio che non permette di distinguere con nettezza ragioni e torti; tutto questo è sempre qualcosa di inquietante e perturbante per le menti benpensanti, perbenistiche e moralistiche per non dire poi di quelle manicheistiche. Che sono poi quelle che più consentono l’esistenza e l’impunità della violenza oltre che il perpetuamento dello status quo.

Ma l’atto di conoscenza che sottende alla letteratura – così come anche il perseguimento del bene – è conquista personale. È conquista individuale, quale che sia il genere sessuale di appartenenza. Nessuno può conquistarlo per un’altra persona.

Qualcosa di sostanziale nella relazione tra il femminile e il maschile, tra l’uomo e la donna deve cambiare perché è giusto. E basta. E non «perché tutti potremmo essere Eva» – potremmo o non potremmo esserlo, non è questo il punto. Non si agisce perché si è sotto una minore o maggiore minaccia. Si agisce perché è giusto. Punto. Si agisce perché non si può non agire. E, a ciascuno, secondo le proprie capacità e i propri talenti. E allora: scrivete, scrittori; filmate, registi; recitate, attori; legiferate, politici; applicate le leggi, magistrati e forze dell’ordine; educate, genitori ed insegnanti. Sì, a ciascuno il suo; ma che sia fatto; che sia finalmente fatto. Senza più falsi alibi né ancora più false scuse.




Maria Antonietta Nardone © Tutti i diritti riservati



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