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Per favore, mi vieni a prendere?

  • Immagine del redattore: Maria Antonietta Nardone
    Maria Antonietta Nardone
  • 1 ott
  • Tempo di lettura: 5 min
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(Foto della locandina presa dal web)


 LA VOCE DI HIND RAJAB

 di Kaouther Ben Hania

 con Saja Kilani, Motaz Malhees, Clara Khoury, Amer Hlehel

 


È il 29 gennaio 2024. Nella sala del centralino della Mezzaluna Rossa di Ramallah, in Cisgiordania, c’è Rana che sta per staccare il suo turno di lavoro, c’è Nasreen, la psicologa, che assiste volontari e feriti via-telefono, c’è Mahdi, che è il responsabile del coordinamento con il COTAG, un’agenzia di volontariato internazionale che a sua volta è in contatto con l’esercito israeliano, e c’è Omar che riceve una chiamata. È la voce concitata di una ragazzina, da Gaza Nord.

   Suoni di spari. Poi, più nulla. Omar richiama il numero. Risponde un’altra bambina, Hanood. Il suo nome per intero è Hind Rajab Hamada. Una bambina di sei anni, rimasta intrappolata nella macchina degli zii e dei suoi quattro cugini, tutti morti. Uccisi dai carri armati israeliani. Hind è lì, accanto a sei cadaveri insanguinati, e chiede insistentemente di andarla a prendere.

   Da questa storia realmente accaduta, la regista tunisina Kaouther Ben Hania dirige un film che mi ha lasciato tramortita per l’impotenza, l’angoscia, l’orrore, il dolore e la rabbia che suscitano nello spettatore. Nello spettatore in sala così come, prima, nei quattro operatori della Mezzaluna Rossa, che, ciascuno a suo modo, fanno di tutto per far arrivare un’autombulanza a soccorrere Hind, che è sotto i colpi continui dell’esercito israeliano.

   Il focoso Omar preme perché sia mandata subito un’autombulanza che è a soli otto minuti dal luogo dove si trova la macchina in cui è nascosta la bambina. Rana, la dolce Rana è colei che stabilisce una relazione più profonda con Hind e, pur devastata, continua a parlare con lei, a pregare il Dio misericordioso e compassionevole, e ad avere le informazioni necessarie per agire. Stavo per scrivere con tempestività, come si conviene quando c’è una chiamata d’emergenza. Ma in una terra occupata da un esercito che colpisce ed uccide intere famiglie nella propria auto, di tempestivo non può esserci nulla. Come ben sa Mahdi, che deve rispettare tutto un iter burocratico, che rimbalza da un’agenzia all’altra, per poi ritornare indietro, ed avere il via libera per mandare le autombulanze in sicurezza. Ha già perso i migliori tra i suoi soccorritori, tutti con figli e famiglie, e non vuole perderne altri.

   Il film riprende i volti e i sentimenti degli operatori, le liti e le solidarietà che si susseguono nel tentativo di arrivare ad avere al più presto “la luce verde” da chi, a questo punto, è preposto a decidere della salvezza o della morte di altri esseri umani mentre, intanto, si ascolta la voce autentica di Hind Rajab. La regista Ben Hania è stata molto brava a delineare la farraginosità della macchina di soccorso palestinese e a mostrare i contrasti interni; una farraginosità deliberatamente voluta e calcolata dalla forza israeliana occupante ed indiscriminatamente uccidente. La lucidità, l’intelligenza e il rispetto dei costumi (come quando dice a Rana «chiedi a tuo marito il permesso di venirmi a prendere») della piccola, eppure immensa, Hind emergono in una maniera inconfutabile. Hind è una bambina che frequenta la materna alla scuola “La Felicità dell’Infanzia”, un nome che, pronunciato in questo contesto, risulta beffardamente crudele.

   Nonostante la pressione continua per mandare in sicurezza l’autombulanza, l’assenso per inviarla non arriva. Passano le ore. «Morirò. Morirò presto» afferma, ad un tratto, Hind, incredibilmente cosciente della sorte che l’aspetta. E lì sono schiantata come Rana. Lì, mi si è schiantato dentro tutto quello che c’è da schiantarsi: cuore, anima, mente, spirito, coscienza, pensiero.

     Regia e sceneggiatura, firmata dalla stessa regista, sono senza alcuna enfasi. Senza alcuna retorica – ed il rischio c’era eccome!

     La storia è nota: 355 colpi hanno investito il corpo di Hind. Anche la storia dell’autombulanza con due giovani paramedici, è nota: colpita dall’esercito israeliano a poche centinaia di metri dalla macchina in cui si trovava la piccola.

     Che una bambina di sei anni, attorniata dai cadaveri dei propri zii e cugini, arrivi a supplicare i volontari della Mezzaluna Rossa di salvarla mentre un meccanismo infernale, creato appositamente per ritardare ogni soccorso, registra, più dei file con le voci di tutti i protagonisti, la frattura antropologica di questo tempo, di questo nostro orribile zeitgeist. Siamo davanti non più solo ad un mutamento antropologico bensì proprio ad una caduta e ad una frattura che mi inquietano e mi agghiacciano.

     Gli interpreti sono tutti molto intensi e naturali. Amer Hlehel dà corpo a Mahdi, la cui responsabilità lo costringe a mille cautele ma a cui non manca la forza e la tenacia; Clara Khoury è Nasreen, la psicologa attenta, accudente, dalle mille risorse (il pezzo in cui evoca il profumo dei fiori e la maestosità del  mare è struggente); Motaz Malhees impersona Omar, l’operatore impulsivo che l’impotenza porta a scatti incontrollati eppure umanissimi; Saja Kilani è la tenerissima Rana che ha l’improbo compito di incoraggiare Hind e di distrarla durante la lunga attesa dei soccorsi.

   In The voice of Hind Rajab l’azione si svolge esclusivamente nella sala del centralino della Mezzaluna Rossa, in un suo bagno, in un balcone. Lo spettatore vede il lavorìo indefesso degli operatori per salvare la bambina; una bambina di cui sentiamo solo la voce spesso coperta dai colpi dei carri armati. E, quando cade il silenzio, la paura è altissima. Anche ne La zona di interesse di Jonathan Glazer (produttore esecutivo di questo film assieme a Brad Pitt, Joaquin Phoenix, Rooney Mara, Alfonso Cuarón ed altri) si udivano solo suoni, grida, rumori, spari, abbaiare di cani, senza vedere nulla di quanto accadeva all’interno del campo di messa a morte di Auschwitz-Birkenau. Con una differenza sostanziale, però. Mentre della Shoah e di quanto avveniva in quel konzentrationslager si sa tutto, si sa quello che avveniva (le baracche, gli appelli, il lavoro forzato, gli “spogliatoi”, le camere a gas, i forni crematori ecc.), qui a Gaza, nonostante questo sia il primo genocidio visto in diretta dalla popolazione mondiale, non si sa tutto; certo, quello che si vede è più che sufficiente per conoscere quello che accade tuttavia io credo che, quando finalmente cesseranno gli eccidi quotidiani che durano da due anni, si scopriranno aspetti, dati e fatti ancora più terribili di quelli già visti e conosciuti. Aspetti, dati e fatti che sono stati deliberatamente tenuti nascosti vietando l’ingresso alla stampa internazionale, ad esempio.

   Ed anche la parola genocidio sembra non essere più sufficiente. Perché si è deliberatamente distrutto musei, scuole, biblioteche, archivi, moschee, siti archeologici per non parlare dell’uccisione mirata di poeti, scrittori, artisti, professori, accademici. Si sono ridotti in macerie strutture urbane e terreni agricoli. Si parlerà di ecocidio, molto probabilmente. Si è andati oltre il tentativo di cancellazione fisica di un popolo, il popolo palestinese; si è deliberatamente cercato di cancellare l’identità culturale e spirituale, artistica ed amministrativa, di questo popolo (l’esistenza di Gaza, nota col nome di Ghazzati, menzionata dal faraone Thutmose III, risale al XV secolo a.C.). Si parlerà, quindi, anche di genocidio storico-culturale.

   Non parlerò di quante bambine e quanti bambini sono stati uccisi, feriti, mutilati senza anestesia, fatti morire per fame, per sete, per infezioni, per malattie ecc. o rimasti orfani dal gennaio 2024 ad oggi, 1 ottobre 2025. Ormai è cronaca. Orrifica cronaca quotidiana. E, presto, sarà storia.

   La voce e le suppliche di Hind Rajab sono limpida testimonianza delle atrocità commesse dall’esercito israeliano e della furia omicida di chi le ha pianificate ed ordinate. E sarà la voce di questa bambina di sei anni ad averci raffigurato l’orrore non visto.

 

 

 

Maria Antonietta Nardone © Tutti i diritti riservati

 

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